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Il treno: per molti ma non per tutti
Un anno era ormai passato dalla devastante esperienza del primo e ultimo PercFest, ma le appiccicose impronte dei bei tempi andati erano chiazzate in umori indelebili sulla gelatinosa melassa della nostra vita.
Tutto in noi era cambiato. Chi in questi dodici mesi aveva riacquistato la propria verginità, chi si era iscritto al fan club dei Lunapop, chi si era accorto di essere l'Anticristo e se ne era fatto una ragione, chi si era atrocemente scoperto monosessuale e, per espiare, si era impalato ed era morto felice. Tutto ciò era nulla in confronto al fenomeno più inquietante: la Cicalona aveva iniziato a... LAVORARE!!!

Ormai nulla era più di valore a questo mondo, nemmeno le frizzanti evoluzioni delle bollicine dei rutti e dei peti del Favone Grassone mi sapevano indicare l'uscita dalla palude del tramonto: occorreva fare qualcosa... e subito! Occorreva ritrovare noi stessi, occorreva dare una svolta al nostro destino, occorreva... RITORNARE A LAIGUEGLIA!!!
L'ORGANIZZAZIONE
Le Fave Romane quest'anno non s'eran degnate nemmeno di specificare un pacco, mi avevano semplicemente detto: "Forse veniamo, chi lo sa?"
Di tutta la mandria di anencefali presenti l'anno passato, l'unico caso umano disperato al punto da fornire adesione definitiva ed incondizionata fu il Favone Grassone: "Sì, prenota ovunque, vengo, sborroh!"

Certe volte mi domando se in tutto il Fave esista qualcuno di più handicappato.

"Oh, vai a Laigueglia anche quest'anno? - disse Grumo - Ma sì, ho letto il racconto dell'anno scorso, vengo anch'io!"

Certe volte mi domando se in tutto il Fave esista qualcuno di più handicappato.

"Andate a Laigueglia? - disse SanfruSanfru - Vengo anch'io!"
"Ah... ma non so se c'è ancora posto da noi..."
"No no, ma mica vado in albergo! Io dormo in spiaggia!"


E va be', dai, poteva andare peggio.

"Ciao stronzo! - pianse la segreterìa - Sono il Favone Grassone e ho appena sfasciato la macchina!"

Dopo una giornata di risate, festeggiamenti, orge ed euforia, trovai finalmente la concentrazione necessaria per comporre il suo numero e chiamarlo, scoprendo la divertente verità: il Favone aveva bocciato perché a casa sua pioveva, era salito in macchina con le scarpe bagnate, gli era scivolato il piede dal pedale del freno ed aveva cilindrato un'altra macchina.
Sono cose che fanno pensare...

Era ormai chiaro che saremmo dovuti arrivare a Laigueglia in treno e, coi treni, Laigueglia aveva la reputazione di Banfi, il travone di corso Galfer: c'era un traffico continuo, tutti passavano, guardavano e facevano il dito, ma non si fermavano mai.

I pochi treni che facevano sosta a Laigueglia erano stati selezionati, a nostra immagine e somiglianza, tra gli oggetti più inutili e lenti dell'universo: da Torino, senza cambio, ci si metteva tre ore e 14 minuti. Mi consolava solo il fatto che il Favone, che partiva da Biella, avrebbe dovuto cambiare CINQUE treni e di ore ce ne avrebbe messe in tutto SEI.

"Oh, però mi aspetti in stazione a Torino, che altrimenti mi perdo!"

In effetti, il Favone su Trenitalia era la quadratura del cerchio: ritardo per ritardo per tre e quattordici.
GIOVEDì 27 GIUGNO: SI PARTE!!!
Stampai una cartina di Laigueglia per l'autistico GRUMO, perché è handicappato, e mi diressi in stazione.
Avrei potuto prendere il treno di mezzogiorno, l'unico ad arrivare a Laigueglia senza cambio, invece all'una ero là, svaccato tra i tossici di Porta Nuova ad aspettare The Fat Fave, che temeva la metamorfosi in oggetto smarrito.

Il treno multicambio partiva alle 13:30. Attesi la venuta del largo fino alle 13:29, senza nemmeno potergli telefonare perché l'idiota non aveva un telefonino, perché secondo lui quelli che hanno il telefonino sono "Froci! Facce di merda! Coglioni! Sborroh!". Poi, visto che il treno stava partendo e volevo arrivare a Laigueglia entro cena, mandai l'amico improrogabilmente affanculo e saltai sull'ultima carrozza.
Per un pelo, perché le porte si stavano chiudendo.

Cosa succede di solito in questi frenetici frangenti? Semplice: squilla il telefonino.
La Caiazzo?
No! Il Favone Grassone.

"Marok! Sono in una cabina, qua in stazione!!! Non trovo il binario!!!"

Subito dopo, sentii un fischio... e non era un'inferferenza: era l'omino FS che faceva partire il treno, senza accorgersi di un passeggero che aveva forzato una porta per tenerla aperta e di un arrotondato mammifero con un'enorme e floscia appendice che chiamava "la mia borsa" ed un'altra che chiamava "la mia pancia", che rotolava sul marciapiede, nel tentativo di centrare quella stessa porta che lottava per ritornare chiusa.

Fu solo per un particolare che il Favone non rimase a piedi: la porta, per tenerla aperta, l'avevo direttamente SFASCIATA.
Ora, non si chiudeva più, avremmo fatto l'intero viaggio con la porta del treno aperta!!!
Non si può avere tutto nella vita...

Ci allontanammo dalla carrozza fischiettando, ci sedemmo accanto a un tizio fischiettando, il tizio, ci guardò, ci schifò, si alzò e se ne andò.
Lasciando là il telefonino.

Dopo avere passato la VITA ad INSULTARE tutti quelli che usavano il telefonino ("Froci! Facce di merda! Coglioni! Sborroh!"), il Favone prese in mano quel telefonino e iniziò a giocarci ("Marok! Come si usa? Come si accende? Come si spegne? Come si leggono i messaggi delle troie zozze?"). Sembrava un bambino felice.
Ancora non lo potevo sapere, ma da quell'istante non avrei mai più visto il Favone senza un telefonino in mano, in nessun momento del giorno o della notte... almeno fino ad oggi, .

Una volta cambiato a Savona, mi venne in mente che anche l'autistico GRUMO doveva per forza essere da qualche parte sul nostro treno, perché era l'ULTIMO della giornata che fermava a Laigueglia.
Potevamo chiamarlo al telefonino? No, perché - sistemato il Favone - GRUMO era l'ULTIMO handicappato a NON avere un telefonino... e fottere due cellulari lo stesso giorno era veramente troppo.
Potevamo cercarlo? Certo, potevamo. Ma non era una pheega: era GrumoGrumo. Non potevamo cercarlo.

Una volta scesi, constatammo che dell'autistico non c'era traccia alcuna.
Dunque, poteva aver perso il treno, oppure sbagliato stazione, oppure essersi biodegradato durante il tragitto, oppure...
Il commento del Favone fu lapidario: "AHAHAHAHAHAHAHAH SBORROOOOOOOOOOOH!"

La medesima scena si ripeté quando arrivammo all'hotel Rosa e ci accorgemmo che si erano dimenticati di aggiungere un letto: l'errante Grumo, se mai fosse riuscito ad arrivare a Laigueglia, avrebbe dovuto dormire con il culo per terra. Cazzi suoi.
BUDELLO CROSSING
"I patti sono chiari! Ci vediamo in albergo!"

Il ricordo di questa sibillina frase regalava nuovi colori al nostro luminoso sorriso, quando il Favone ed io abbandonammo l'hotel Rosa per intraprendere un giro per la via centrale, anche detta "budello", anche detta "il paradiso della pheega", lasciando che Grumo affrontasse in solitudine il suo triste destino.
Solo alle sei e mezza, uno squillo frantumò la nostra quiete.

"Sono Grumo! Sono in albergo! Dove cazzo siete???"

Dopo lunga ed approfondita indagine, venimmo a sapere che l'iponeuronico compare aveva effettivamente sbagliato stazione, era sceso a quella dopo e, siccome non c'erano più treni che lo portassero indietro, se l'era dovuta fare tutta in autobus.

"Il treno si era fermato a Laigueglia - ci raccontò l'autistico - ma un tipo, quando ha visto che stavo scendendo, mi ha detto di aspettare perché il treno non era ancora fermo. Io ho aspettato, e il treno è andato avanti. Ma, quando sono sceso, mi sono accorto che ero ad Andora!"

Cose strane, così come il fatto che le Fave Romane non avevano ancora dato segni di vita. Forse erano scese a Bolzano perché gli avevano detto che il treno non era ancora fermo in stazione, oppure sarebbero arrivate il giorno successivo, perché la Fava Romana arriva sempre in ritardo.
Oppure non sarebbero arrivate mai.
L'avremmo scoperto solo vivendo.

Annegammo il dispiacere in qualche birretta tra Mayflower e Pacàn, ritrovando i nostri vecchi amici: Christian Meyer, Giorgio PalombinoGiorgio Palombino, il Pastrano, che era sempre obliquo, e la Bolbo, che ci salutò dicendoci: "Ah no, almeno oggi non ne voglio sapere delle fave!"

Dopo la dipartita del leggendario Ivan Piombino (blindato dalla tipa), eravamo noi il suo incubo peggiore!

Alle sette della sera, il Favone Grassone mandò tutti affanculo e trascinò me e GRUMO nella piazza del concerto, completamente deserta. Fu un piacere abbandonarlo al suo destino per andare a zonzo nel budello, facendo ritorno alle nove.

Occupammo gli ultimi posti rimasti, che erano nel dehors di un bar del lato nord della piazza. Si chiamava "U Gussu", o qualcosa del genere... vi scriverei la traduzione, ma so che tutti voi conoscete lo swahili meglio di me.
Comunque, il palco si vedeva da Dio... ma l'audio era coperto dalle URLA degli avventori alle nostre spalle e dalla simpatia del nonno Parkinson davanti a noi, che ad ogni nostro MORMORIO ci comunicava frasi ricche di amore e speranza per il futuro: "Che se io vengo a casa vostra a rompere i coglioni voi che fate???"

Niente... non ho ancora trovato una soluzione al suo indovinello.
A dire il vero a casa mia l'avrei accolto volentieri, lo vedevo molto bene come soprammobile tra il mio cesso ed il bidé, magari con una bella targhetta "il rompicoglioni" e un fiocchettino azzurro sulle palle. Però non avrei saputo a quale voce collocarlo nel 740 e così lasciai perdere.
"Gli dovrei dare l'indirizzo del Fave Club!" pensavo, mentre lo osservavo ciondolare la testa perfettamente a tempo... Antonio Marangolo anche quando, tra un pezzo e l'altro, c'era assoluto silenzio.

Ah... dimenticavo: il concerto era bello.
I Libertango e l'Agostino Marangolo band, da veri professionisti, perseverarono a lungo nella loro prorompente carica di vitalità.

Lo stesso concetto si rivelò tragicamente assente nelle jam session da Pacàn e Mayflower, che alle due erano già finite.

Tanta desolazione non lasciò alternative al ritorno nella nostra accogliente camera d'albergo, dove un posto per Grumo era magicamente spuntato dal nulla, proprio accanto al letto del Favone che gli pendeva contro di 45 gradi.
Si preannunciava l'inizio di una calda notte di passione, ma non era che una breve tappa di una lurida, sozza e biodegradante vita di merda.

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