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CAPITOLO3 - IL BIODEGRADO CONTINUA

CAPITOLO3 - IL BIODEGRADO CONTINUA

Facciamo un giro?

Ci svegliammo che non era neanche mezzogiorno. Dopo un'oretta di minacce e reciproche accuse su chi avrebbe dovuto portare il caffè e aveva invece portato barattoli vuoti, ritornammo nella zona del Casinò, sia per vedere se i croupier avessero fatto buon uso dei nostri soldi, sia soprattutto per vedere se almeno di giorno qualche cazzo di anima popolasse il paese.
I pochi indigeni dotati di attività biologica si rivelarono concentrati intorno a un'improbabile pista di pattinaggio. Era la buona occasione per accelerare la terminazione entropica di Elena e Nico, ma non risolveva il problema principale: trovare un riparo da quella merda di vento.

Seguendo gli autoctoni ci rifugiammo in una chiesa, dove si stava celebrando una Messa con sottofondo di Canti Gregoriani.
Chiunque in quella chiesa, per quanto decerebrato fosse, riusciva a leggere il pentagramma sul libretto e cantare senza problemi.
Chiunque compresi i francesi, chiunque tranne noi ed un barbone, che ronfava della grossa due panche più dietro, in compagnia di una coperta e due fiaschi di vino.

Di tanto in tanto mi piaceva osservarlo, in lui vedevo un po' il mio futuro. Finché non si sentì il rumore di un liquido che colava per terra.
Pensando che il barbone avesse rovesciato il vino ci voltammo e constatammo come il nostro amico stesse allegramente pisciando sul pavimento della Chiesa.

È in frangenti come questi che è facile ammirare la magnificenza di un gruppo di italiani all'estero: le risate e i relativi decibel disegnavano intorno ai nostri corpi degli inconfondibili aloni viola.
Capimmo che era ora di lasciare Port Frejus.

ROTTA VERSO ST TROPEZ


Nel tentativo di disintossicarci dallo squallore della nostra realtà, provammo ad emigrare verso un posto all'altezza dei nostri sogni: la mitica St.Tropez, conosciuta in tutto il mondo come il paradiso della figa. Folla in strada a St.Tropez

Potemmo così scoprire che la mitica St.Tropez ha solo due strade, che eravamo così handicappati da riuscire a perderci anche in quelle uniche due strade e che l'unico motivo per cui ci eravamo ritrovati era che le nostre erano le uniche due macchine in circolazione. Non ci rimase che sedimentarci nello squallido deserto del lungomare, girovagando tra locali chiusi da mesi se non da anni, mentre Daniela si fermava due ore a contemplare ogni barca (ed eravamo in un porto!), e il vento porco continuava a frustarci i coglioni. Solo allora i miei sospetti avrebbero avuto la definitiva conferma: l'ultima mia immersione nella figa dell'anno 2001 sarebbe stata l'ultima corsa pomeridiana sul pullman 2.

In ogni caso, la mezz'ora di caccia all'autoctono portò come unico risultato barboni e tipi sversi, ovviamente italiani, secondo i quali l'unico locale aperto era una discoteca dalla quale erano appena scappati perché gli faceva troppo schifo.

Le discoteche in sé mi hanno sempre indotto allo sbocco in maniera endemica, ma pur di isolarmi da quel vento di merda sarei stato disponibile a passare l'intera serata a farmi uno shampoo con lo sciacquone del cesso della peggiore toilet della Scozia: accolsi la proposta con un discreto entusiasmo.
Non altrettanto fecero gli altri, quando si accorsero che era chiusa.
"Ma è proprio chiusa?" chiedemmo a un buttafuori che stava lì davanti.
In quei paesi erano TUTTI italiani. Il buttafuori non parlava italiano. "Però è aperto qua sotto!" ci mimò a gesti.

Una candela per amico

"Qua sotto" ci sarebbero anche potute essere le fogne di Calcutta, vi ci saremmo tuffati dentro lo stesso.
Ci mettemmo un po' a realizzare che il nostro attuale ecosistema consisteva in una birreria più vuota dei nostri encefali, privata di illuminazione artificiale nell'ingenuo tentativo di nascondere lo schifo che dilagava ovunque.
"Vi porto un menu?" ci chiese un cameriere.
Cos'è il genio? Fantasia, intuizione, decisione e... velocità di esecuzione!
"No, grazie! Ce ne andiamo!"

AFTERHOUR ALL'ODYSSÉE


Invertimmo la rotta verso Port Frejus e ci internammo nell'Odyssée, una discoteca stile anni 80 a pochi metri dall'albergo, che fin dal primo giorno avevamo scartato a priori dalle nostre vite deridendola ogni volta che ci passavamo davanti.

L'Odyssée L'ambientazione competeva a pieno titolo con la nostra più cinica immaginazione, colonne greche di cartongesso, luci colorate e specchi ingrassanti rendevano l'ambiente un degno compromesso tra il tarrificio Naxos, un Luna Park albanese e il Partenone di Asterix alle Olimpiadi.

Come sempre, tutti i clienti del locale erano italiani e nessuno del locale parlava italiano. Ci misi tre ore a farmi sganciare un Beyleys, ma alla fine ne era valsa la pena: era ghiaccio al 90% e acqua al 9%. Sull'1% di sostanza marrone che dava colore al tutto nessuno aveva saputo darmi spiegazioni.

Man mano che la serata andava avanti, i gestori provavano in tutti i modi a svuotare il locale, abbassando di brano in brano la soglia di sopportazione del dolore. Quando però capirono che oltre ad essere handicappati eravamo anche sordomuti, decisero di accendere le luci. Solo allora, seppure a malincuore, fummo costretti ad andarcene affanculo: potevamo sopportare di tutto, ma guardarci in faccia era troppo anche per noi.

In compenso anche quella sera si erano fatte le sei.
In compenso il giorno dopo sarebbe stata la notte di... CAPODANNO.